Teatro

Corrado D'Elia è Otello. Ma con 'Vero West' arriva il Premio Nazionale

Corrado D'Elia è Otello. Ma con 'Vero West' arriva il Premio Nazionale

Solo fino al 18 maggio potete godervi il magnifico Jago interpretato al Teatro dell'Arte di Milano da un sempre più grande Corrado D'Elia, qui anche regista. Con lui c'è Otello, titolo del grande dramma di William Shakespeare, il cui ruolo drammatico viene espresso con forza da un Jurij Ferrini che non si trucca neppure di nero il volto o le mani, restando credibile grazie alla bravura della recitazione. Che sia lui il Moro non c'è dubbio alcuno e ogni altro attore appare in modo chiaro a raccontare la storia di un amore grande, spezzato dagli interessi di chi considera la propria malvagità come un esercizio di potere. Parlare con Corrado D'Elia è facile, non si comporta da divo anche se ormai conta molti ammiratori. E, a distanza di un mese da questa intervista, ci tengo a comunicare che gli stessi protagonisti, in Vero West e diretti da Sergio Maifredi, hanno ottenuto il Premio Nazionale della Critica 2007-2008 per la regia. Dove hai cominciato a fare i primi passi sul palcoscenico? Ho studiato all'Accademia d'Arte Drammatica Paolo Grassi come pure all'Accademia del Teatro dei Filodrammatici. Ma questi ultimi tenevano corsi solo da mezza giornata e così ho deciso di continuare con la Paolo Grassi. Qui ho avuto insegnanti come Giampiero Solari, artisti che sono diventati il primo mattone di un sogno. Ancora oggi lavoro con ex compagni di studi, se capita. Sei stato grandioso in Novecento, di Baricco. E' meglio stare soli sul palco per un monologo o preferisci, come adesso, la sinergia con la compagnia? E' meglio stare con una donna o vivere da soli? Era la prima volta che facevo un monologo e mi ha aperto una porta. Mi sono fatto questo regalo, è andata benissimo ma, oltre al piacere di stare da solo, mi sono mancati moltissimo i compagni e volevo tornare con loro. Prossimamente Vero West al Teatro Libero? Sì, dal 19 maggio e fino al 14 giugno, portiamo in scena Vero West. E' un testo bellissimo di Sam Sheppard, autore di testi teatrali e cinamatografici oltre che bravo attore. Con Jurij Ferrini al mio fianco e Dario Maifredi alla regia seguiremo il plot di questa storia, che è semplice. Come tanti della mia generazione, siamo vissuti sognando il West, farsi un viaggio costa a costa. Tutti abbiamo il mito del lontano, del perdersi da qualche parte e io volevo indagare su questo. Ma è vero che prossimamente ci sarà anche un western all'italiana? Per questa ragione voglio lavorare con il sardo Salvatore Niffori, già Premio Campiello con 'La vedova scalza'. La Barbagia è il West degli italiani e mi ricorda De Andrè che si perdeva in Sardegna. E' stata una piacevole scoperta, quella di Niffoi e presenterò un suo testo al Teatro di Verdura, d'estate. Aspetto di parlare con l'autore per decidere come lavorarci, che nome dargli. Poi, in autunno, farò Riccardo III. Tu lavori con testi contemporanei e grandi classici. Un autore come Shakespeare cosa insegna non a chi lo guarda ma a chi lo interpreta? Lo dicono tutti che Shakespeare sia un autore contemporaneo. Io direi universale. Quello che insegna è entrare nelle cose. ha la capacità di insegnare sentimenti e sentimenti che diventano archetipi, perché si possono decontestualizzare. Non con tutti gli autori si può fare. A Shakespeare puoi togliere il tempo, portarlo in un'altra epoca e resta tutto uguale. Non ci riesci con altri. Lui disegna piccole cose e questo è grande. Per come piace farlo a me, è come una corrente, così mi piace farlo. Amore, gelosia, odio, sono come colori primari: anche un bambino li sente. Per questo dico che ha creato archetipi e il lavoro è a sottrarre, non aggiungere. Per questo usi parole precise ma talvolta operi dei tagli? "I sogni finiscono prima che la storia finisca". Io lascio apposta che il pubblico pensi "Già finito?". Parlami di Otello e della gelosia. Tutti viviamo il dubbio e la gelosia. Il male è una cosa banale. Non bisogna pensare che il male non esista. Non c'è solo ambizione in Jago, lui compie del male. Per capirlo servirebbe più cultura, più teatro... E' complicato metterlo in scena? Ogni sera dobbiamo svuotare a mano due vasche da 800 litri d'acqua coi secchi. Quando fa caldo, bagnarsi come facciamo noi in scena va bene, ma se c'è umido e se fa un po' freddo è dura. Sono contento di lavorare al Teatro dell'Arte, c'è un bel dialogo con Sisto Dalla Palma, è un avvicinamento tra direzioni teatrali milanesi importante per noi dei Teatri Possibili. Pur avendo una sede, ho sempre cercato di creare progetti con altri, come è già accaduto col Teatro Litta e il Teatro Verdi, per esempio. La serie di collaborazioni vuole rendere più facili le relazioni possibili. Il Teatro Libero già appartiene a un network, no? Sì, quello di Teatri Possibili è una rete di teatri in 16 città a gestioni diverse, con sale in varie parti d'Italia ma anche scuole di teatro, formazione, compagnie ed esposizioni artistiche su diversi territori. Sergio Maifredi da qualche giorno è diventato il presidente dei Teatri Possibili e io resto direttore generale del circuito. Fra pochi giorni presenteremo il programma al consiglio e migliorerà la qualità delle produzioni. Torniamo a Shakespeare. Ti capita mai di pensare coi suoi pensieri? Tutti i giorni, onestamente, potrei dire che mi servo di Shakespeare, delle battute imparate a memoria e che servono in tanti momenti della vita. Avendolo tanto fatto, è il mio autore preferito e lo pronuncio come fosse musica. Anche se la vita è così diversa dal teatro, pure è incredibile come la vita si ritrovi in Shakespeare. Hai interpretato o diretto sia opere contemporanee che classiche, vero? Nessuno più di Shakespeare. Mi è capitato di fare Baudelaire, Baricco, Sheppard, Rostand, ma lui è il massimo. Devo dire che questa è vita. Vedi, quando leggiamo il Cyrano, ci si accorge che sarebbe difficile pensare che qualcuno dica davvero quelle parole. Ascoltando Romeo e Giulietta sembra invece di sentire dei ragazzi: c'è una linea diretta con la realtà che contiene la tua vita. Forse penso così perché sono un teatrante... Ma qual è la differenza, per l'attore? Io cerco sempre di entrare dentro al testo. Certo che la lingua è diversa, a seconda dell'autore, i ritmi sono diversi. Baricco canta, Sheppard va a monosillabi. Credo però nel teatro interpretato, che viene dal dentro. non rappresentato, vissuto come estetica. Anche quando ho fatto 900, è stato un lavoro profondo. Riesci a coltivare una tua vita privata? La riflessione che faccio è che ho pochissimo tempo. Alcune cose le prendi dalla stanchezza, o da momenti di riposo, oppure da momenti del lavoro. Direi che l'ozio e il negozio coincidono, così la creatività coincide col fare. Spesso in me queste due cose coincidono. Credi sia meglio una relazione fra due artisti che magari lavorano assieme o sarebbe meglio un partner molto lontano dal proprio ambiente? Sono possibili le due cose, sono vere entrambe in modo soggettivo. Ora ho 40 anni e in realtà se io fossi innamorato di una donna diversa da me, ci penserei. Ma ho avuto solo rapporti con chi ho accanto, finora. Poi bisogna intendersi sul concetto di mestiere. Il partner deve capire i tempi creativi e potrebbe forse essere una pittrice, diversa ma simile, insomma. La compagna: vuole il possesso o la relazione d'animo?